LA BIOECONOMIA DELLE FORESTE

Data:
15 Novembre 2023

LA BIOECONOMIA DELLE FORESTE

Il Green Deal Europeo ha stabilito l’obiettivo della neutralità climatica nell’Unione entro il 2050, e un traguardo climatico intermedio di una riduzione netta delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030. Ridurre i rischi climatici e la perdita di biodiversità forestale, utilizzare meglio le risorse forestali per migliorare la capacità di assorbimento e favorire la crescita di filiere locali sostenibili, sono alcuni degli obiettivi del Next Generation EU e della Strategia dell’UE per le foreste che si possono raggiungere attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza e le altre opportunità che offre l’UE per valorizzare in chiave sostenibile le foreste e le filiere forestale. Gli ecosistemi forestali sono i principali serbatoi naturali terrestri di carbonio e giocano un ruolo chiave per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e, per poter continuare a svolgere questa importante funzione, gli ecosistemi devono rimanere efficienti ed essere in buona salute. Il carbonio organico immagazzinato negli ecosistemi forestali italiani è pari a 1,24 Gt (miliardi di tonnellate), e la maggior parte è accumulato nei suoli che contengono il 57,6% del totale pari a 715,7 Mt (milioni di tonnellate) e, per effetto dell’accrescimento degli alberi, vengono fissati annualmente 12,6 Mt di carbonio, che corrispondono ad un assorbimento di anidride carbonica dall’atmosfera di 46,2 Mt pari a circa 5 t/ha di CO2 equivalente. È dunque evidente l’importanza degli ecosistemi forestali per contrastare i cambiamenti climatici e per frenare la perdita di biodiversità che da questa ne deriva. Nel nostro Paese i boschi rappresentano il cuore naturalistico nazionale e sono la base della nostra ricchezza di biodiversità e, contrariamente a quanto si sosteneva, il nostro è un Paese ricco di biodiversità forestale: dei 132 habitat comunitari presenti in Italia riconosciuti dalla Direttiva Habitat, 39 sono di tipo forestale e di cui 12 sono di interesse prioritario, e altri 7 sono riconducibili a formazioni dominate da specie alto-arbustive o arboree, di cui 5 habitat prioritari. In Italia sono stati censiti 3.561 alberi monumentali o sistemi omogenei di alberi e 68 siti che fanno parte della rete delle foreste vetuste, e circa il 35% della superficie forestale presenta vincoli di tipo naturalistico (la media europea è del 15%) perché collocata all’interno di parchi o riserve o siti Natura 2000, e circa 10.500 ettari di questi hanno un vincolo di riserva naturale integrale. Anche nelle restanti foreste situate al di fuori delle aree protette, il regime di tutela assicurato da un insieme di norme ambientali e paesaggistiche nazionali e regionali, è tra i più stringenti d’Europa. L’Italia, caso unico in Europa, presenta un vincolo di tutela paesaggistica sul 100% della superficie forestale (art. 142 del Codice Urbani) e, oltre a questo, circa l’87% delle foreste italiane ha un vincolo idrogeologico. Quindi oltre un terzo delle foreste italiane ha 3 diversi vincoli, oltre due terzi delle foreste italiane hanno almeno due vincoli e tutte, le foreste italiane hanno almeno un vincolo. Questi vincoli, inoltre, si aggiungono alla normativa (prescrizioni di massima e regolamenti forestali) che per tutte le foreste italiane definisce quello che si può fare e quello che non si può fare. Le foreste italiane sono, sulla carta, le più tutelate d’Europa e forse del mondo. In Italia, quindi, un proprietario forestale (pubblico o privato) non ha mai la piena disponibilità del proprio bene in quanto l’utilizzo del bosco rimane sempre subordinato all’interesse pubblico. Nonostante ciò, nelle ultime settimane c’è stata una levata di scudi contro un provvedimento del Governo che ha eliminato il doppio vincolo paesaggistico che interessava circa il 20% delle foreste italiane e che derivava dalla legge sulle “Bellezze naturali” emanata nel 1939. La legge del ‘39 partiva da un concetto ormai ampiamente superato ed abbandonato (il paesaggio come bellezza, panorama) con norme, prima ereditate dalla legge Galasso e poi dal codice Urbani, che non tenevano conto del cambiamento del “paesaggio” avvenuto: ad esempio molti dei boschi tutelati dal doppio vincolo paesaggistico non esistevano quando la legge sulle bellezze naturali è stata approvata e la copertura forestale era la metà dell’attuale. Un doppio vincolo che, paradossalmente, non aumentava il livello di tutela già previsto per il 100% dei boschi, ma creava entropia e doppi adempimenti “burocratici a carico spesso degli utenti più deboli: se un proprietario di un bosco all’interno di un’area gravata da doppio vincolo avesse tagliato un albero nel bosco di sua proprietà (rispettando i regolamenti forestali vigenti), avrebbe dovuto spendere centinaia di euro per richiedere l’autorizzazione paesaggistica (ed attendere mesi l’esito della richiesta). Se non l’avesse fatto, avrebbe rischiato una condanna penale per avere tagliato un albero nel bosco di sua proprietà, da secoli utilizzato per legna da ardere, magari in una frazione di un paese non servita dal gas naturale. L’eliminazione di questo secondo vincolo paesaggistico, quindi, non riduce il livello di tutela dei boschi italiani che è tra i più alti d’Europa, ma riduce l’entropia del sistema. Ma il dato vero e scandaloso che vogliamo far emergere è che in Italia i rischi per gli ecosistemi forestali non derivano dai livelli di tutela più o meno rigidi e sulla carta perfetti, ma dalla mancanza di una adeguata vigilanza e sorveglianza delle istituzioni preposte, da una scarsa pianificazione forestale – solo il 18% del territorio boscato è sottoposto a un piano – che lascia al libero arbitrio scelte che dovrebbero essere chiare e trasparenti, e dallo scarso ricorso alla certificazione forestale che interessa solo il 10% delle nostre foreste localizzate per la gran parte nelle aree alpine del Paese. Abbiamo puntato sul ruolo multifunzionale delle foreste (tutela della biodiversità, servizi ecosistemici, utilizzo produttivo, fruizione turistica, etc…) e sulla bioeconomia circolare per valorizzare il made in Italy anche nel settore forestale. Ma dobbiamo prendere atto che persistono ritardi nell’attuazione concreta di queste strategie anche a causa di sottovalutazioni. Per superare questi ritardi occorre aumentare la conoscenza del nostro patrimonio forestale, approfondire le dinamiche evolutive dei boschi e la capacità di stoccaggio di carbonio dei diversi ecosistemi, migliorare la qualità e quantità di biodiversità contenuta negli ecosistemi forestali e concordare i sistemi di monitoraggio più opportuni, saper intervenire per ridurre i rischi e mitigare le minacce del cambiamento climatico. Occorre ampliare la conoscenza e le competenze attorno alle foreste e alle filiere forestali e dare indicazioni precise per tutelare un patrimonio ambientale da cui dipende anche un sistema produttivo che alimenta la seconda manifattura del Paese. Per queste ragioni anche l’Italia dovrà mettere in atto la gestione sostenibile e la valorizzazione responsabile del suo patrimonio verde (interessa 11 milioni di ettari e il 36,7% del territorio), e promuovere una visione comune tra le istituzioni interessate, le parti economiche e sociali, il sistema della cultura e della ricerca per definire per il decennio 2020-2030 una proposta per le foreste italiane. Occorre affrontare queste criticità che frenano e limitano l’utilizzo dei prodotti a base legno per attuare la transizione del nostro Paese verso un’economia a impatto climatico zero. Bisogna procedere a mitigare i processi di riscaldamento climatico valorizzando tutte quelle filiere in grado di contribuire alla decarbonizzazione e focalizzare l’attenzione sul tema della durabilità di un qualsiasi prodotto in legno poiché garantisce uno stock di CO2 di lungo periodo utile per ridurre le emissioni di anidride carbonica e combattere il riscaldamento globale. Ma il legno, che è una risorsa rinnovabile, troppo spesso viene utilizzato in maniera inadeguata e insostenibile. E gli ecosistemi forestali, da cui ha origine la materia prima, non sempre rispettano i criteri della gestione forestale sostenibile e responsabile. I ritardi nella gestione forestale sostenibile, la mancata pianificazione delle foreste e lo scarso livello di certificazione, l’illegalità riscontrata nella filiera legno-energia e la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento con il rischio di aggravare fenomeni di deforestazione a scala globale, sono fattori che incidono pesantemente sui ritardi accumulati dal nostro Paese per raggiungere gli obiettivi al 2030 e per contrastare efficacemente la deforestazione a livello globale. Per raggiungere questi scopi bisogna incrementare i boschi con popolamenti maturi e senescenti (foreste primarie o vetuste) con l’obiettivo di tutelare il 30% del territorio e destinare a riserva integrale il 10% delle foreste e realizzare hot-spot di biodiversità forestale. Il Cluster Italia Foresta Legno di recentemente avviato dal MASAF, ad esempio, è uno strumento utile per rafforzare il made in Italy e aumentare la produzione interna di prodotti forestali, anche per ridurre la dipendenza dall’estero (importiamo l’80% del fabbisogno di prodotti legnosi), e crediamo vada implementato in tutte le Regioni per accelerare la transizione ecologica e utilizzare di più i prodotti forestali per sostituire l’uso della plastica e il cemento in edilizia e promuovere un uso a cascata del legno anche per garantire filiere energetiche sostenibili, trasparenti e soprattutto legali, sostenere la formazione e il partenariato pubblico e privato (es. Accordi di foresta) per ridurre l’abbandono del territorio e favorire le professioni green e le imprese forestali certificate. Bisogna puntare sulla crescita sostenibile del vivaismo e la ripresa dei vivai pubblici per garantire la ricerca e la tutela della biodiversità, soprattutto per creare foreste urbane e le aree verdi che possono svolgere una funzione benefica per rigenerare le nostre città per renderle più vivibili. Ma per fare questo, noi continueremo a piantare alberi attraverso le nostre campagne e celebrando la Festa dell’Albero, ma le istituzioni devono completare con successo i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza dedicati al verde urbano, e applicare veramente la legge 10/2013 sugli spazi verdi urbani. Per ridurre l’impatto climatico si deve promuovere un piano nazionale di messa a dimora di alberi e orientare le strategie per il verde pubblico urbano per creare boschi nelle città per migliorare la vivibilità e il benessere dei cittadini.

di Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente

Ultimo aggiornamento

15 Novembre 2023, 14:56

it_ITItalian