Con i cambiamenti climatici servono aree protette dinamiche

Data:
18 Settembre 2023

Con i cambiamenti climatici servono aree protette dinamiche

Negli ultimi anni, stiamo assistendo in Italia ad un aumento significativo di eventi climatici estremi. L’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna e le Marche, ma anche le violente piogge che si sono abbattute in Sardegna e in altre regioni d’Italia sono l’ennesima dimostrazione di quanto la crisi climatica stia accelerando il passo causando ingenti danni all’ambiente, all’economia del Paese, e perdite di vite umane.

Non va meglio nel resto del mondo, basti pensare ad esempio che il 13 giugno scorso il Parco Nazionale di Yellowstone ha chiuso al pubblico “per crisi climatica” in quanto è letteralmente finito sott’acqua. Un’alluvione da record ha devastato in particolare l’area nord dell’iconica riserva, distruggendo strade, ponti e trascinando con sé case. Così, all’alba dei suoi 150 anni, il primo parco nazionale istituito nel mondo, è stato costretto a chiudere i battenti dei suoi 5 ingressi e lasciare 10.000 turisti alle porte.

Di certo la natura ha già ripreso il suo corso, ma occorre soffermarsi su quanto la crisi climatica stia colpendo le aree protette: proprio quelle che da più di un secolo stiamo cercando di proteggere dall’impatto della nostra specie.

Il clima cambia, piante e animali si muovono, e anche le aree protette nate a tutela della biodiversità dovrebbero muoversi. Le aree protette costituiscono una parte essenziale della risposta globale ai cambiamenti climatici. Esse contribuiscono ad affrontare le cause del cambiamento climatico, proteggendo gli ecosistemi naturali e riducendo le emissioni di gas a effetto serra attraverso lo stoccaggio e il sequestro del carbonio. Possono inoltre aiutare la società a contrastare gli effetti di tali cambiamenti, mantenendo i servizi essenziali degli ecosistemi da cui dipendono le popolazioni. Sono soluzioni naturali comprovate, “verdi” ed economicamente vantaggiose contro la crisi climatica.

Serve, quindi, pensare alle aree protette come aree dinamiche, secondo quanto afferma uno studio appena pubblicato su Environmental Research Letters.

In un ambiente che si modifica velocemente a causa dei cambiamenti climatici, la configurazione delle aree protette potrebbe cambiare notevolmente prima della fine del secolo. Gli autori della ricerca hanno stimato che a livello globale nell’ipotesi di un riscaldamento di 2°C, un quarto delle attuali aree protette non avrebbe più le condizioni climatiche ottimali per la sopravvivenza delle specie che le popolano oggi, le quali sarebbero costrette a migrare in altre aree. Al contrario circa un terzo delle aree che garantirebbero la conservazione della biodiversità animale dal punto di vista climatico, non sono attualmente presenti nella rete delle aree protette.

Questo suggerisce la necessità di programmare un piano di aree protette dinamiche e abbastanza vicine tra loro, tali da permettere la migrazione delle diverse specie. Cosa possibile solo abbracciando una visione globale della gestione delle risorse e della cooperazione internazionale, che si traduca in azioni concrete a livello locale.

Per esempio, con un approccio che favorisca il superamento di ostacoli tanto fisici – come quelli che gli animali si troveranno a dover affrontare attraversando paesi diversi – che politici, quali leggi diverse sulla salvaguardia delle biodiversità, delle specie in via di estinzione, di pratiche di uso del suolo contrastanti, che potrebbero mettere a rischio la loro sopravvivenza.

La realizzazione di una politica comune globale è proprio lo scopo della 15° COP sulla biodiversità. Tra gli obbiettivi della conferenza c’è stato anche l’impegno a trasformare il 30% della superficie mondiale, sia terrestre che marina, in aree protette entro il 2030.

Come ha ricordato una review pubblicata su Ecology & Society la pianificazione delle aree protette dovrà tenere conto però anche dei diritti e dello stile di vita delle popolazioni indigene che abitano alcune regioni in Africa e in Asia, tra le più povere al mondo dal punto di vista economico, ma tra le più ricche per biodiversità. Popolazioni, che pur non essendo una minaccia per l’ambiente, rischiano di perdere tutto ciò che possiedono.

Il percorso migliore per un’efficace conservazione a lungo termine dovrà proprio coniugare le aree protette con la lungimirante gestione ambientale propria delle comunità locali. Altrimenti a pagare rischiano di essere, anche in questo caso, solo le popolazioni più povere, non responsabili della crisi ambientale e climatica.

Quindi la gestione delle aree protette sarà sempre più un elemento cruciale nelle strategie climatiche nazionali e locali, con risvolti significativi anche per quanto attiene la riduzione energetica e gli investimenti in solide infrastrutture e nuove tecnologie. Comprendere e studiare meglio il contributo green che le aree protette possono offrire alla mitigazione e all’adattamento potrebbe consentire la diffusione di reti di aree protette gestite in maniera più efficace, anche grazie alla disponibilità di nuovi meccanismi di finanziamento, come il programma delle Nazioni Unite per la riduzione delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado delle foreste (REDD+) e i fondi di adattamento. L’inclusione dei sistemi di aree protette all’interno delle strategie nazionali contro i cambiamenti climatici, consentirà anche al Governo italiano e alla stessa Regione Campania di promuovere uno sviluppo più sostenibile e di ridurre la perdita e il degrado degli habitat naturali, rispondendo in questo modo sia ai cambiamenti climatici, sia agli obiettivi della biodiversità.

Una cosa è certa: i confini e le leggi attuali non sono più sufficienti. E non lo sono più da un pezzo. Nessun’area protetta è al sicuro dal cambiamento climatico. Serve un’inversione di rotta rapida, una scialuppa robusta… e il coraggio di farla, questa manovra.

Costantino Caturano – Presidente dell’Ente Parco Regionale del Taburno Camposauro

Ultimo aggiornamento

18 Settembre 2023, 10:42

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