Storia di una brigantessa del Taburno: il racconto di Raffaella Mauro

Data:
6 Maggio 2023

Storia di una brigantessa del Taburno: il racconto di Raffaella Mauro

E’ stata Raffaella Mauro, studentessa del liceo Scientifico E. Fermi di Montesarchio, ad aggiudicarsi il primo premio del concorso bandito dall’Ente Parco Regionale del Taburno-Camposauro dal titolo “Raccontare la Natura“.

 

 

Negli anni la mia storia è passata di bocca in bocca fino a tramutarsi in leggenda. Per alcuni sono diventata un modello, per altri esempio da evitare, ma tutti sentendola si sono domandati le stesse cose: perché lo avessi fatto e se in fin dei conti ne era davvero valsa la pena.

Rispondere alla prima domanda è complicato, forse eravamo solo stanchi di essere sfruttati da un re dopo l’altro mentre il nostro territorio moriva o più semplicemente eravamo troppo giovani e pieni di sogni. In ogni caso non ho dubbi nel rispondere alla seconda, nonostante tutte le vite spezzate, vale sempre la pena combattere per il proprio paese e per ciò in cui si crede.

 

Sono nata a Tocco Caudio sul versante orientale del Taburno, in una piccola casetta immersa nel verde, dalla finestra della mia camera potevo scrutare i vasti boschi di faggi, querce e abeti bianchi così come il bellissimo profilo della dormiente. La mia era una famiglia di contadini come quasi tutte nella zona, con più figli di quanti ne riuscisse a sfamare, ma sempre pronta al sacrificio, mio nonno, infatti, aveva aiutato nella costruzione dell’acquedotto carolingio e in cambio i Borbone avevano promesso di tutelare il Taburno e aiutare le comunità di contadini. Per un periodo fu così ma si scordarono facilmente dei ceti minori e pian piano ci abbandonarono. Una nuova speranza però, ci fu data da un giovane condottiero Giuseppe Garibaldi, che chiedeva l’aiuto di tutti per riunire l’Italia e risanarla sotto la guida dei Savoia, nessuno avrebbe più sofferto la fame.

In molti nella Valle Caudina andarono a combattere al fianco dei rivoluzionari e chi rimase aveva speranza per il futuro, quando poi nel 1861 nacque l’Italia sembrò che quelle promesse di rinascita si stessero finalmente avverando. Con il passare del tempo però i Savoia dimenticarono coloro che li avevano aiutati e la morte di quelli che erano andati a combattere sembrò vana. Per noi le cose peggiorarono in fretta, più che ai tempi dei Borbone; ci fu un brutto inverno e quasi tutti gli orti vennero distrutti. I primi a morire furono gli animali seguiti poi dalle persone, ricordo che arrivammo a mangiare rane e serpenti pur di avere qualcosa con cui sfamarci. Lo scontento però non imperava solo in Valle Caudina ma anche a Benevento, Caserta, Napoli e non solo, le ricchezze promesse non erano mai arrivate e in molti organizzarono rivolte al grido d Francesco II di Borbone, rimpiangendo i tempi del suo regno. La mia famiglia riuscì a superare l’inverno ma era stremata e non passò molto che mio padre e alcuni dei miei fratelli si ammalarono e morirono. Ricordo bene le ultime parole di mio padre:

” Combatti, ma non per un sovrano, per te e per i figli che avrai. Non lasciare che come me muoiano nella miseria.”

Lo seppellimmo su in montagna in un posto in cui ancora crescevano i fiori, mi piace pensare che in ognuno di essi ci sia una parte di lui. Le sue parole mi aprirono gli occhi, volevo combattere, ma non sapevo cosa fare, i rivoltosi erano ritenuti pericolosi, si diceva facessero razzie e uccidessero gente, li chiamavano briganti, in più erano lontani e io non avevo mai lasciato la Valle Caudina. Le guardie e i sostenitori sabaudi però, iniziarono a cercarli e più di 300 uomini divisi in dieci bande finirono per rifugiarsi nelle grotte e nelle zone più impervie del Taburno, occupando anche antiche roccaforti romane. Se ne vedevano alcuni anche vicino alla Pietra di Tocco, un enorme masso di pietra calcarea utilizzato in epoca antica come punto di avvistamento, ma tutti cercavamo di stargli il più lontano possibile. Un giorno andai a prendere dell’acqua alla sorgente del fiume Fizzo e fu lì che lo incontrai, Francesco Guerra. Sbucò all’improvviso da una grotta nascosta, il fucile puntato su di me, quando capì che non ero un nemico lo abbassò ma non bastò a rassicurarmi. Allora mi offrì del pane, avevo paura ad accettare ma era da troppo che non lo mangiavo. Da lì per me cambiò tutto. Aveva uno sguardo magnetico e delle cicatrici sul petto, intuita la mia curiosità e mi raccontò la sua storia, era simile a quella di molti altri, un po’ anche alla mia. Veniva da un paese della provincia di Caserta, suo padre era morto mentre combatteva per i Savoia e sua madre riuscì per un po’ ad andare avanti grazie alla speranza, ma quando infine la perse morì anche lei. Allora lui decise di fare qualcosa per fermare quelle ingiustizie e partì per Caserta, lì incontrò persone con la sua stessa rabbia e sete di cambiamento. Mi disse che molti li ritenevano pazzi, ma a volte quello è l’unico modo per essere ascoltati da quelli con le orecchie tappate.  Noi due avevamo la stessa tristezza negli occhi, perciò gli raccontai di quello che era successo a me e al mio paese, di come non c’era più odore di uva, il bosco aveva inghiottito le case e gli animali erano quasi tutti spariti, solo il sole continuava a splendere e anche quello sembrava un crimine visto tutto ciò che era morto. Francesco allora mi ripetè le stesse parole di mio padre, mi disse di unirmi a loro e combattere, ero spaventata ma anche stanca di ciò che stava accadendo e perciò accettai. Non fu facile integrarmi sembrava che una donna non avesse posto neanche fra i briganti ma dimostrai di valere come dieci uomini. l 22 maggio del 1861 al grido di Francesco II di Borbone prendemmo d’assalto la Guardia Nazionale e ci impossessammo di armi e munizioni abbattendo lo stemma Sabaudo. Ci chiamavano banda della miseria ma quel nome non ci dispiaceva la miseria era ciò da cui venivamo e di cui ci saremmo liberati. Il capo della banda, era Andrea De Masi di Bucciano, detto il Miseria un amico di Francesco, insieme tra le grotte di San Mauro e San Simeone organizzavamo assalti armati, rapimenti e razzie nei territori della Valle Caudina. Tra la folta vegetazione dello “stradello del re” pianificammo una vera e propria attività persecutoria per contrastare il regno dei Savoia e tutti coloro che lo sostenevano, volevamo fargli capire che non ci saremmo fermati, che avremmo combattuto fino allo strenuo per salvare il nostro territorio e quello che restava delle nostre famiglie.

Colpimmo anche esponenti politici come il sindaco Michele De Blasio, con un incendio doloso devastammo la sua casa in via San Giovanni a Bucciano.  Speravamo di avere un contatto con i sabaudi tramite lui, non avevamo idea che un bambino che non era riuscito a scappare dalle fiamme potesse rischiare la vita. Appena ce ne rendemmo conto lo salvammo ma nemmeno lì capirono che a noi non interessava la violenza tutto ciò che facevamo era per amore dei nostri ideali e del nostro paese.

Presto l’esercito iniziò a darci la caccia e a scandagliare la montagna per fermarci. Il sindaco tentò un’alleanza con il nostro nuovo capobanda Giovani Mauro di Montesarchio in modo da terminare i nostri attacchi contro di lui, ma non riuscì a impedire la venuta dell’esercito che voleva catturarci. Alcuni vennero presi e processati, molte brigantesse come me vennero stuprate e brutalmente uccise, noi riuscimmo a scappare ma il prezzo fu alto. Dovetti affrontare lo sdegno di mia madre che dopo tutto ancora non capiva perché lottavo, diceva come il resto del paese che quella non era roba da donne. Molte bande di briganti andarono fuori controllo ma noi non eravamo così, avevamo intenzioni buone ma comunque pagammo come gli altri. Ben presto Francesco che nel frattempo era diventato l’amore della mia vita, venne ucciso in un’imboscata. So che fra poco sarà anche il mio turno e non voglio pensare a cosa mi aspetta, ma anche nella morte sarò felice perché non ho rimpianti, ho creato un cambiamento anche se piccolo e questa è la mia più grande vittoria.

Solo il pensiero di non tornare più a Tocco mi rende difficile la morte. Non poter più vedere le piane verdi di Camposauro, la dormiente nella sua bellezza, non poter più passeggiare nella via dei mulini o sentire l’odore dell’erba cipollina mentre ascolto lo scrosciare del fiume, accompagnato dal canto della ghiandaia. Dover dire addio a quelle colline e a quegli alberi che anche nei momenti più duri mi hanno dato forza.

L’unica cosa che alla fine mi consola è che nella mia morte il Taburno rinascerà più forte che mai, lo sento.

di Raffaella Mauro

Ultimo aggiornamento

30 Giugno 2023, 12:28

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